Cinema e Kung Fu | di Guido Mazzoni
Le arti marziali, soprattutto come incarnazione emblematica del kung fu (inteso come “lavoro svolto con perizia” e raggiunto attraverso molta pratica e fatica), sono sempre state una parte integrante della cultura cinese e hanno esercitato una presenza costante sull’immaginario di cantastorie, poeti, scrittori e, in seguito, di cineasti. Questo articolo affronta il tema Cinema e Kung fu dagli albori fino ai giorni nostri.
IL WUXIAPIAN
La presenza delle arti marziali nella narrazione di storie in Cina ha radici antiche e si può far risalire fino a un paio di secoli prima di Cristo, quando erano diffusi racconti di genere storico-cavalleresco (yóuxiá 游侠) i cui protagonisti erano spadaccini formidabili. Questa tradizione si è andata mescolando a elementi di genere fantastico e durante la dinastia Ming è diventata famosa col nome di wǔxiá (武俠) ossia “codice d’onore marziale” o “cavaliere errante marziale”. Le storie wuxia sono ambientate nella Cina antica e narrano tipicamente di uomini solitari, conoscitori di arti marziali e spesso spadaccini, che dopo essere caduti in disgrazia o aver ricevuto un’offesa si trovano a dover compiere grandiose avventure per riscattarsi.
Nel cinema narrativo delle origini è stato un uso comune in tutto il mondo quello di adattare per il cinema le opere letterarie. Questo semplificava i lavori di scrittura del film ed offriva al pubblico qualcosa che questo già conosceva, ma in una forma nuova (quella cinematografica), rendendolo così un prodotto accattivante. Così in Cina, in particolare tra gli anni ’20 e ’30 a Singapore, ha avuto grandissima diffusione il genere cinematografico wǔxiápiàn (武侠片) ossia il “filone wuxia” del cinema, in cui venivano adattate per lo schermo le opere wuxia. In seguito alla guerra Sino-Giapponese degli anni ’30, gran parte dell’industria cinematografica cinese si rifugiò ad Hong Kong, dove la produzione di wuxiapian riprese rigogliosa fino agli anni ’70, quando fu in parte domata dalla grande richiesta di film di Kung fu con ambientazione moderna. Film importanti di questi anni sono quelli prodotti dalla Shaw Brothers, la più potente casa di produzione cinematografica del sud-est asiatico, come “Mantieni l’odio per la tua vendetta” (1967) di Chang Cheh, e i vari sequel sulla storia dello spadaccino monco, e “A touch of Zen – La fanciulla cavaliere errante” (1971) di King Hu. In anni recenti il wuxiapian sta riscuotendo grande successo anche in occidente. Dopo la vittoria di ben quattro oscar da parte de “La tigre e il dragone” (2000)di Ang Lee, si sono succeduti una serie di wuxiapian con ottimi risultati al botteghino nel mercato occidentale: “Hero” (2002) e “La foresta dei pugnali volanti” (2004) di Zhang Yimou, “Seven Swords” (2005) di Tsui Hark.
Il wuxiapian è un genere cinematografico in costume in cui si affrontano spadaccini volanti e combattenti formidabili e spesso le forze del male sono costituite da maghi, spettri e altri esseri fantastici. I combattimenti sono spettacolari e assomigliano a danze acrobatiche, svolgendosi a diversi metri da terra con gli attori appesi a cavi resi invisibili attraverso il posizionamento della cinepresa o eliminati in post-produzione. La recitazione è enfatica e teatrale, fortemente influenzata dalla tradizione dell’Opera di Pechino.
IL GONGFUPIAN
Agli inizi degli anni ’70, in seguito a una serie di film fortunati sulla storia di Wong Fei Hung (famoso rivoluzionario della fine dell’800, grandissimo maestro di arti marziali), cominciò una produzione, che divenne esponenziale, di film ambientati nell’era moderna che narravano di combattimenti più realistici e senza influssi magici. Il gōngfupiàn (功夫片), ossia il “filone gongfu” del cinema, ha avuto un grandissimo successo e ha dominato il mercato cinematografico asiatico fino agli anni ’90.
Le storie di gongfupian sono incentrate prevalentemente sulla vendetta. Un artista marziale (o una scuola di arti marziali) riceve un torto e si deve vendicare. I combattimenti si svolgono quasi sempre a mani nude o al massimo con armi contundenti e raramente con armi bianche. I combattimenti sono più realistici di quelli del wuxiapian e si basano quasi esclusivamente sulle capacità atletiche degli attori.
Quello che è considerato il primo film del genere è “La morte nella mano” (1970) “The Chinese Boxer”, scritto, diretto e interpretato da Jimmy Wang Yu (già famosissimo all’epoca per aver interpretato lo spadaccino monco nella serie di film di Chang Cheh). La storia è semplice (sarà un classico del genere) ed è un pretesto per mostrare combattimenti spettacolari: un combattente ossessionato dalla vendetta, un finale tragico, e un pizzico di nazionalismo anti giapponese che spesso caratterizzerà i gongfupian (anche nei film di Bruce Lee gli avversari vestono spesso il karategi giapponese).
The Chinese Boxer | Jimmy Wang Yu |
Il film che ha portato alla notorietà i gongfupian in occidente è stato “Cinque dita di violenza” (1971) di Jeong Chang-Hwa, interpretato da Lo Lieh. Il film fu acquistato dalla Warner Bros e distribuito in occidente riscuotendo un discreto successo. Lo Lieh, che fino ad allora aveva interpretato solo parti minori spesso come cattivo, divenne l’icona delle arti marziali in occidente (prima di essere oscurato da Bruce Lee) ed ottenne delle parti anche in un paio di coproduzioni internazionali. La storia del film narra la rivalità tra due scuole di arti marziali e non è particolarmente originale, tanto che il successo occidentale rimase inspiegabile per gli stessi produttori della Shaw Brothers che consideravano questo film come uno fra i tanti gongfupian standardizzati che venivano prodotti ogni anno.
Five Fingers of Death | Jeong Chang-Hwa |
Fra i migliori film degli inizi si ritrovano nuovamente quelli di Chang Cheh, che dopo aver fatto la fortuna del wuxiapian, ha diretto una serie di capolavori del gongfupian come “Il drago si scatena” (1972), “Blood Brothers” (1973), “Heroes Two” (1974), “Il padrino di Chinatown” (1977) e “Le furie umane del Kung fu” (1978).
The Blood Brothers | Chang Cheh |
La definitiva consacrazione del genere si ha quando Bruce Lee (Li Xiao Long), diventato già famoso ad Hong Kong con i suoi primi due film diretti da Lo Wei “Il furore della Cina colpisce ancora” (1971) e “Dalla Cina con furore” (1972) (distribuiti in Italia in ordine inverso), dirige e interpreta “L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente” (1972) che oltre ad essere il primo film di Hong Kong ad essere stato girato in un paese extra-asiatico, fece anche il record d’incassi per un film di gongfu. Il film è ambientato a Roma e contiene una delle scene di gongfu più famose della storia del cinema: il combattimento fra Bruce Lee e Chuck Norris all’interno del Colosseo. Mentre stava lavorando alla realizzazione di “The Game of Death” (film mai terminato), Bruce Lee venne chiamato dalla Warner Bros per interpretare il protagonista in “I tre dell’operazione drago” (1973). Morì poco dopo la realizzazione del film, ancor prima che fosse distribuito nelle sale.
Per maggiori approfondimenti su vita e morte di Bruce Lee suggeriamo la lettura del nostro articolo a lui dedicato. (Bruce Lee – Il Piccolo Drago)
Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 fu Liu Chia Liang conosciuto anche sotto il nome cantonese di Lau Kar Leung ( 劉家良), noto coreografo della Shaw Brothers, a impugnare le redini del gongfupian e a dirigere una serie di capolavori ambientati nel tempio di Shaolin, in cui il protagonista si trova ad affrontare (oltre che al classico desiderio di vendetta) un duro allenamento per apprendere le arti marziali. Il primo film su questo tema fu “The 36th chamber of Shaolin” (1978), seguito da “Shaolin Manthis” (1978) e “Shaolin challenges Ninja” (1979).
Sulla scia del successo di questi film anche la Repubblica Popolare tentò la strada dei film di gongfu producendo una serie di tre film, con interprete Jet Li (Li Lianjie 李連杰), per lanciare su scala internazionale la riscoperta del wushu moderno: “Shaolin Temple” (1982), “Kids of Shaolin” (1984) e “Martial arts of Shaolin” (1986).
Per girare quest’ultimo episodio fu chiamato alla regia lo stesso Liu Chia Liang che ad Hong Kong aveva fatto la fortuna sui film ambientati nel monastero, e gli fu concesso (prima volta nella storia del cinema) di girare il film nel vero monastero di Shaolin. In questi stessi anni si stava affermando un altro grande regista, coreografo e profondo conoscitore di arti marziali, Yuen Woo-Ping, che ha diretto alcuni film sulla storia degli stili di gongfu: “Tai Chi Master” (1993) e “Wing Chun” (1994).
Verso la metà degli anni ’90 il genere è andato via via perdendo di popolarità, ma recentemente ha riscosso nuovamente un certo successo internazionale con “Fearless” (2006) di Ronny Yu, interpretato da Jet Li, che ha anche il merito di essere stato il primo film di arti marziali cinesi il cui doppiaggio italiano non abbia storpiato i termini usati nella versione originale: le “arti marziali” vengono chiamate wushu e non più kung fu (termine reso popolare proprio dal cinema di Hong Kong) o peggio katate o judo come negli anni ’70-’80.
Fearless | Ronny Yu |
LA GONGFU-COMEDY
Sul finire degli anni ’70 il realismo che il gongfupian aveva imposto sul wuxiapian sembrava a sua volta aver stancato, così da una parte ci fu chi come Chang Cheh tentò di rendere più interessante il gongfu con un pizzico di fantastico (in “Le furie umane del Kung fu” (1978) ci sono cinque combattenti che possiedono i poteri velenosi di altrettanti animali) e chi cambiò totalmente registro, pur mantenendo i combattimenti. E’ l’avvento delle commedie di arti marziali, dominate dalla plasticità atletica ed espressiva di Jackie Chan (Chan Kong-Sang 陳港生) e Sammo Hung (Samo Hung 洪金寶) che hanno fatto la nuova fortuna delle arti marziali nel cinema, prima separatamente e poi anche insieme come nel film “Project A” (1983) (primo film diretto dallo stesso Jackie Chan e considerato uno dei suoi migliori).
Jackie Chan, che cominciò la sua carriera da bambino nell’Opera di Pechino studiando assieme a Sammo Hung e Yuen Biao, fece inizialmente lo stuntman (partecipando anche ai primi due film di Bruce Lee). Lo Wei, che stava ancora cercando un nuovo Bruce Lee col quale continuare la fortuna dei suoi primi film, scelse il giovane Jackie Chan per girare “The new fist of Fury” (1976) e un altro paio di film mediocri che furono dei clamorosi flop. Ma nel frattempo Jackie fu notato da Yuen Woo-Ping (Yuen Woo Ping 袁和平) che gli offrì di interpretare il famoso personaggio di Wong Fei Hung in “Drunken Master” (1978) e “Jackie Chan, la mano che uccide” (1978), due film perfettamente riusciti che lanciarono Jackie Chan verso la notorietà anche in occidente. La novità assoluta di questi film fu data dall’intuizione azzeccata di Yuen Woo-Ping di poter sfruttare le caratteristiche atletiche e mimiche di Jackie Chan per creare delle commedie basate sulle arti marziali mescolandoci tratti tipici della slapstick comedy.
La formula risultò fortunata e ed è stata usata molto da Jackie Chan, così come dal suo amico Sammo Hung, anche quando questi si sono messi dietro la macchina da presa, giungendo a fare film anche in America.
The Drunken Master | Jakie Chan |
Jackie Chan è stato uno degli attori di arti marziali cinesi più prolifici negli Stati Uniti e ha ricevuto il Guinness dei primati per la categoria “maggior numero di stunts fatti da un attore vivente”.
Recentemente la commedia di gongfu è tornata alla ribalta in occidente con due fortunati film di Stephen Chow: “Shaolin Soccer” (2001) e “Kung Fusion” (2004).
Shaolin Soccer | Kung Fusion |
ARTI MARZIALI CINESI E CINEMA OCCIDENTALE
Nella concezione del cinema occidentale i film d’azione si risolvono attorno a tre grandi regole generali: esplosioni, sparatorie e combattimenti corpo a corpo. Questi sono considerati gli elementi essenziali attorno ai quali deve ruotare un film d’azione. La storia narrata, oltre ad essere gradevole, deve giustificare questi elementi e portarli al più alto grado di spettacolarità possibile.
Ma l’elemento più importante di ogni storia è sempre il combattimento corpo a corpo, che si svolgerà alla fine del film tra il protagonista e l’antagonista, quando entrambi abbandoneranno le armi per fronteggiarsi a mani nude in una lotta in cui vincerà non chi possiede le armi migliori ma chi è più forte. Vincerà il migliore.
Il motivo che ha portato le arti marziali orientali a diventare il più usato metodo di combattimento corpo a corpo nel cinema occidentale è stato l’altissimo grado di spettacolarità a cui queste si prestano. Lo scontro finale tra bene e male non si risolve in una semplice “scazzottata” ma in un elegante e suggestivo combattimento acrobatico. E’ questo il motivo per cui, soprattutto in tempi recenti, anche nel cinema occidentale le scene di combattimento corpo a corpo sono coreografate da maestri di arti marziali orientali. Un caso su tutti è quello di Yuen Woo-Ping, chiamato a Hollywood per curare le coreografie di film i cui combattimenti sono diventati famosissimi come per le serie di “Matrix” di Andy e Larry Wachowski e di “Kill Bill” di Quentin Tarantino.
Kill Bill | Quentin Tarantino |
Negli Stati Uniti sono stati prodotti almeno due film importanti che parlano delle arti marziali, ancor prima che dei combattimenti, e del loro rapporto con la cultura occidentale: da una parte “Dragon, la storia di Bruce Lee” (di Rob Cohen 1993) racconta la vita del famoso attore, interpretata da Jason Scott Lee e contemporaneamente ci offre un plausibile quadro dell’impatto che hanno avuto le arti marziali in occidente attraverso il suo insegnamento in America; dall’altra “Ferro e Seta” (di Shirley Sun 1990) tratto dal libro “La Spada e la Seta” di Mark Salzman che ci mostra l’impatto opposto: quello che subisce un occidentale (lo stesso Mark Salzman in questo caso) nel suo viaggio in Cina, dove viene a conoscenza della cultura ma anche delle arti marziali di questo paese e ne rimane affascinato.
Ferro e Seta | Dragon |
BIBLIOGRAFIA
- Stephen Gunn, Bruce & Brandon Lee. I segreti del cinema di arti marziali, Sperling & Kupfer, 1998
- Alberto Pezzotta, Tutto il cinema di Hong Kong, Baldini & Castoldi, Milano, 1999
- AA.VV., Cinemasia, Marsilio, 1983