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È veramente utile? A cosa serve? Cerchiamo di fare chiarezza.

Difesa Personale Prato

In questo articolo cercherò di fare chiarezza sul delicatissimo tema della difesa personale, sulla base delle mie pluriennali esperienze di pratica, di formazione e di insegnamento. L’autodifesa è un argomento spesso affrontato troppo “alla leggera” e falsato da una comunicazione talvolta poco realistica e molto orientata al “business” piuttosto che focalizzata sulle necessità individuali dei praticanti. Chiaramente quella che esprimo è esclusivamente la mia opinione personale che si aggiungerà alle tante presenti in rete ma che spero possa chiarire i dubbi dei praticanti o aspiranti praticanti.

CONCETTO DI DIFESA PERSONALE O AUTODIFESA

Il primo aspetto che tengo a chiarire subito nei miei corsi è proprio il concetto di “difesa personale”. La chiara comprensione di questo termine, per me rappresenta una “condicio sine qua non” senza la quale non si prosegue nemmeno. È infatti proprio dalla corretta definizione che emerge lo scopo sul quale poi si baseranno tutti gli strumenti tecnici ed attitudinali proposti nel programma dei miei corsi.

Per “difesa personale” o “autodifesa” si intendono tutta una serie di strumenti psicologici, attitudinali, comportamentali e tecnico-pratici che hanno il solo ed unico scopo di prevenire o ridurre al minimo i danni fisici e psicologici causati da una eventuale situazione lesiva o potenzialmente lesiva nella quale ci potremmo trovare coinvolti.

Leggendo attentamente questa definizione, diviene molto chiaro e concreto quello che dovrebbe essere lo scopo di un corso di autodifesa e soprattutto, vengono immediatamente escluse tutta una serie di cose che al contrario, si potrebbero dimostrare completamente controproducenti e che potrebbero far evolvere in peggio una situazione potenzialmente già molto pericolosa.

Per fare un esempio spicciolo ma molto pratico possiamo dire che cercare di “mettere KO il proprio aggressorenon è difesa personale, al contrario cercare di evitare, e quando non possibile limitarsi a proteggersi e liberarsi al solo scopo di scappare, è esattamente difesa personale. Questo non significa che mettendo KO il proprio aggressore non si risolverebbe il problema, si risolverebbe eccome! Il fatto è che statisticamente è purtroppo decisamente improbabile che questo accada e il solo pensare di poterlo fare, aumenta esponenzialmente il rischio che stiamo già correndo.

La difesa personale, deve essere pensata principalmente per persone più leggere, meno forti e meno stronze degli aggressori. Questa è la realtà!

Le probabilità che un soggetto robusto e forte venga aggredito da un soggetto esile e deboluccio tendono allo zero, mentre altissime sono le casistiche in cui un soggetto più forte e pesante possa aggredire un soggetto più gracile e leggero. Ma che strano vero? Generalmente chi aggredisce ha pure poco da perdere, è a suo agio in situazioni di questo tipo e sceglie attentamente la preda sulla base di varie considerazioni tipo appunto sesso, robustezza, peso, aspetto fisico ed altri fattori che statisticamente possono rendere facile o difficile la sua attività lesiva.

Il “ladruncolo” appostato al Bancomat, raramente cercherà di strappar via i soldi ad un energumeno di 90 KG di muscoli e dalla faccia incazzata ma al contrario, lo farà molto volentieri nei confronti di un esile anziano, di una ragazza o di un ragazzino dall’aspetto innocuo.

Se vogliamo essere pratici e realisti, dobbiamo pensare che da un’eventuale aggressione, è oro colato se riusciamo a limitare i danni, liberarsi e fuggire da qualche parte a chiedere aiuto. Il resto purtroppo sono fantasie e false certezze che qualcuno cerca di dare facendo un gravissimo errore.

Su chi punteresti 10.000€ sulla vincita in uno scontro fisico?
L’IMPORTANZA DELLA TECNICA

La tecnica è il solo strumento che permette di compensare la differenza di forza e di peso tra aggressore e aggredito. Maggiore è questo dislivello e più la tecnica deve essere precisa e corretta. Al contrario, tornando all’esempio precedente, più un soggetto è forte e robusto (pesante) più può permettersi una tecnica grezza. La forza può compensare la mancanza di tecnica e la tecnica può compensare la mancanza di forza. Se in un soggetto coesistono entrambi questi fattori, sicuramente il suo livello di autoprotezione sarà molto alto.

Quando si insegna difesa personale, dobbiamo presupporre verosimilmente di trovarsi nel caso più complicato e immedesimarsi sempre in un soggetto con molti svantaggi nei confronti dell’aggressore. Sì, sarebbe molto facile insegnare a difendersi a persone grosse, forti e robuste ma dobbiamo attenerci alla statistica e prendere come riferimento le situazioni più estreme ridimensionando le aspettative e calibrandole in modo ermetico allo scopo principale della difesa personale ovvero, evitare, limitare i danni, scappare e mettersi al sicuro.

“Datemi una leva e vi solleverò il mondo”

Quando un gesto non riesci a portarlo a termine per mancanza di forza, devi necessariamente usare la tecnica. Ma che cosa sarebbe questa “tecnica” esattamente?

Per tecnica si intende un’azione effettuata con dei criteri ben precisi che, sfruttando al meglio le leggi della fisica e della biomeccanica, permettono la migliore efficacia possibile ottimizzando l’energia a disposizione.

Facciamo un esempio pratico. Se qualcuno più pesante di me mi tira per un braccio ed io rispondo irrigidendomi e tirando dalla parte opposta, automaticamente la leva si alzerà al punto da farmi perdere completamente peso sui piedi e comincerò ad andare sempre più rapidamente verso chi mi sta tirando a sé. Se invece io cerco di non irrigidire la muscolatura del braccio e della spalla, sposto il mio peso abbassandomi sulla gamba arretrata e punto in avanti l’altra gamba tesa, abbasserò il punto di leva ed aumentando l’attrito al suolo renderò molto più difficile e faticosa l’azione di chi mi sta tirando.

L’aggressore, se molto forte magari riuscirà comunque a muovermi ma una cosa è farlo senza alcun problema e in un tempo brevissimo, una cosa è farlo con fatica e lentamente. Se aumenta il tempo, aumentano anche le probabilità che qualcuno ad esempio mi noti ed intervenga in mio soccorso o che lo stesso aggressore desista.

Facciamo un altro esempio. Se qualcuno mi afferra per un polso ed è più forte di me, se io provassi a liberarmi cercando di strattonare il braccio, sprecherei soltanto molta energia per nulla. Se però, quella poca energia che ho, la provassi a concentrare in un gesto tecnico che sfrutti un principio di leva, avrò molte più probabilità di riuscire a liberarmi. Meno forza ho, più dovrò essere preciso nell’eseguire pedissequamente il gesto tecnico per sfruttare al massimo la mia energia anche se poca in confronto a quella dell’aggressore.

È SUFFICIENTE UN CORSO DI POCHE LEZIONI?

No. Detto e chiarito questo però va capita anche una cosa fondamentale ovvero che da una parte bisognerà pur partire no? Dal momento che con il piede oltrepassi la porta di ingresso di un Dojo, hai fatto il tuo primo passo nel cercare soluzioni al problema della tua autoprotezione. Inizialmente serve un approccio molto graduale, basico e soprattutto nozionistico. Un corso di poche lezioni ti deve dare questo. Deve farti capire bene di cosa si parla, quanto serio e complesso sia il problema. Deve distruggere le tue false illusioni e porti i problemi per come si potrebbero presentare realmente. Deve farti capire quando il tuo cervello ti propone soluzioni controproducenti e deve convincerti che alcune tue azioni sbagliate potrebbero contribuire a far evolvere in maniera negativa una situazione di pericolo potenziale. Inizialmente serve una fase propedeutica che cambi il tuo modo di pensare e di reagire. Un corso di poche lezioni non deve darti mille soluzioni, deve dartene pochissime ma deve fartele comprendere bene. In una fase di approccio alla quale si affaccia un pubblico eterogeneo serve molta sensibilità. Vanno comprese le esigenze e le difficoltà di ogni singolo partecipante e vanno affrontate in modo graduale. C’è chi quella porta del Dojo la varca con grossa fatica psicologica superando già un primo delicatissimo ma coraggioso step. C’è chi viene per pura curiosità perché non ha idea di cosa lo attenda. C’è chi viene perché ha subito una violenza, un trauma che rischia di riproporsi in qualsiasi istante se l’insegnante non ha giusta la sensibilità per approcciarsi. Negli anni di insegnamento ho avuto modo di seguire moltissime persone e proprio grazie a questo numeroso campione umano ho imparato nel tempo a capire le esigenze di ognuna di queste. Non si possono buttare persone che hanno subito un trauma, in una mischia di invasati vestiti in mimetica che pensano di essere combattenti del Mossad o della SWAT. Serve un cuscinetto che accompagni gradualmente una persona che non ha mai avuto a che fare con un’Arte Marziale o uno Sport da contatto in queste nuove dimensioni. A questo deve servire il corso di poche ore. Sembra poco? No. Per risolvere un problema hai due soluzioni di cui una sola funziona. Affrontare il problema e quindi cominciare a comprenderlo, o fare finta che il problema non esista.

Cominciare un percorso è il primo passo verso la meta ed è la cosa che ti distinguerà da coloro che parlano di cose che non sanno ma che passi non fanno. Partire è sempre il passo più complesso, rompere quell’inerzia per qualcuno rappresenta già una prima vittoria importante.

“C’è più tra zero e uno che tra uno e cento”

Forse allora la domanda più giusta da porsi non è se “è sufficiente” un corso di poche lezioni ma “se serve” un corso di poche lezioni. In questo caso la risposta è “SI”, se ovviamente proposto nel modo giusto.

Per raggiungere un sufficiente livello di Autoprotezione è importante però non fermarsi. Dopo aver fatto questo primo passo e quindi in un certo senso aver “rotto il ghiaccio” conviene sicuramente proseguire nell’approfondimento per poi finalmente arrivare ad un giusto livello di esperienza che continuamente o saltuariamente va tenuta in allenamento. Per questo il mio consiglio è sempre quello di ricordarsi se non sempre ma almeno ogni tanto, di rifare un corso o in alternativa di intraprendere un percorso alternativo o complementare in una seria disciplina Marziale.

ARTE MARZIALE, SPORT DA COMBATTIMENTO O DIFESA PERSONALE?

Questo è un argomento che ho ampiamente sviscerato in questo articolo che suggerisco di leggere, in ogni caso cerco di riassumere il mio punto di vista. In teoria tutte le Arti Marziali sono inizialmente nate con lo scopo esclusivo della difesa personale o comunque del combattimento (altrimenti non si chiamerebbero “Marziali”), tuttavia nei secoli questa componente nella maggior parte di queste è lentamente sfumata e migrata verso aspetti più olistici e legati al benessere o all’aspetto esclusivamente artistico e non Marziale appunto. Molte di queste discipline contengono strumenti utili per la difesa personale se opportunamente selezionati, contestualizzati e sintetizzati in un metodo di difesa personale. Gli sport da combattimento, sono quelli che a livello di allenamento e contesto probabilmente si avvicinano maggiormente a quella che potrebbe essere la gestione di un confronto reale. Mi riferisco a discipline di striking (calci e pugni) tipo il pugilato, la Thai, il Sandà ecc. e discipline di grappling (lotta) tipo, il Judo agonistico, il Sambo, il Brazilian Jujitsu ecc. Queste discipline sono tutte valide come percorso complementare da intraprendere in momenti successivi ma ritengo che in una fase iniziale serva appunto un approccio più specifico ed esclusivamente mirato all’argomento. L’obiettivo di uno sport da contatto è quello di vincere una gara in un contesto preciso e regolamentato sfruttando tecniche e allenamenti specifici al fine di ottenere questo risultato che è una cosa un po’ diversa rispetto a predisporre una persona psicologicamente e fisicamente ad affrontare una situazione violenta ed imprevedibile.

Quindi sì, praticare Arti Marziali o Sport da contatto che prevedono sparring con avversari non collaborativi è estremamente utile alla difesa personale ma per la maggioranza delle persone che si approcciano ad essa da neofiti serve (a mio parere) uno step intermedio specifico ed approfondito che mantenga il focus sull’obiettivo finale di autodifesa diverso da quello del contesto agonistico e che preveda una formazione sull’argomento non solo a livello fisico ma anche psicoattitudinale.

IL PERICOLOSO EFFETTO “DUNNING-KRUGER”

“Eh ma è difficile in questo modo!”
Quando mi dicono questa cosa, la mia risposta è sempre la stessa: “mostrami le tue alternative migliori”. Rendersi conto che “è complicato” è proprio il primo step in avanti nel tentativo di aumentare il proprio livello di autoprotezione. Spesso, si ha un idea “sulla carta” di come si potrebbe risolvere un problema e fino a quando non ci troviamo a doverlo risolvere veramente, non possiamo sapere se la nostra ipotetica soluzione sia funzionale e purtroppo quasi sempre non lo è, a causa dell’effetto “Dunning–Kruger“.

L’effetto Dunning-Kruger (EDK) è una distorsione cognitiva nella quale individui poco esperti e poco competenti in un campo tendono a sovrastimare la propria preparazione giudicandola, a torto, superiore alla media. Grafico rappresentativo dell’effetto Dunning-Kruger.

Meno si conosce un problema e più ci si sente sicuri nell’affrontarlo. Più si approfondisce la conoscenza di un problema e più ci si rende conto della sua complessità. Un corso di difesa personale, deve rapportare alla realtà, questa classica distorsione cognitiva data dall’inesperienza.

Immaginate di vedere una collina. Salire sulla sua vetta potrebbe sembrare semplice soprattutto se non è molto alta ed il sentiero per raggiungerla è facile. Ma quanto è alta e quanto è facile realmente il sentiero lo ipotizziamo e fino a che non proviamo a salirci non lo possiamo sapere con certezza. E se quella che vedevamo da terra non fosse stata la vetta ma solo l’unica parte visibile dal punto di partenza? Raggiunta la nostra ipotetica vetta, c’è la possibilità che da li, si cominci a scorgere una parte molto più alta che non avevamo messo in conto, e così via. Il padre del mio attuale Maestro di Kung Fu (Chang Dsu Yao) diceva: “Raggiungere serve perché da li possiamo vedere quanto sia alta la vetta successiva” Se restiamo lì in basso a guardare e non approfondiamo mai i problemi, si rimane impantanati nel “Monte dell’ignoranza”.

Questa che segue è una rappresentazione della classica curva Dunning-Kruger dal quale emerge chiaramente che maggiore è la competenza, maggiore è anche la conoscenza della reale serietà del problema, mentre al contrario, minore è la competenza e minore è la percezione del rischio e della complessità della situazione. Questo concetto chiaramente non vale solo per la Difesa Personale ma per tutte le attività che prevedono una preparazione.

Effetto_Dunning-Kruger
Effetto_Dunning-Kruger

Anche in questo caso faccio degli esempi pratici. Un ragazzo atletico e forte, potrebbe pensare che in caso di aggressione queste sue qualità siano sufficienti ad avere la meglio. Sicuramente queste qualità possono essere un bel vantaggio, è ovvio, ma da qui a pensare “io con queste qualità me la caverò sicuramente” c’è una bella differenza. Altro esempio classico: “se capita a me io gli do un bel calcio nelle palle o una ditata negli occhi altro che queste tecniche!”. Anche in questo caso, si parla senza cognizione di causa. Si vedono due o tre filmati su internet dove tutto sembra facile ed efficacie e si pensa che in una situazione reale queste cose funzionino per davvero, senza aver mai testato nulla di simile. Mike Tyson diceva:

Everyone has a plan until they get punched in the mouth

“Tutti quanti hanno un piano fino a quando non prendono un pugno in bocca”. Nulla di più vero! soprattutto nella nostra nazione dove a farla da padrone sono i famosi “Leoni della testiera”. Sulla carta abbiamo mille soluzioni, nella realtà è grassa se ne funzionano due. Questo perché è impossibile avere la garanzia che le soluzioni pensate o chiacchierate, se non testate davvero, funzionino nella reale situazione.

LA CONSAPEVOLEZZA È IL PRIMO OBIETTIVO

Prima ancora di cominciare ad imparare strumenti tecnici di autodifesa, bisogna lavorare sulla testa e cominciare a mettere i puntini sulle “i” su quelli che sono i comportamenti da rieducare ai fini di difesa personale. Nelle mie lezioni quando spiego gli obiettivi del corso parlo di acquisire nel tempo almeno tre consapevolezze importanti.

1- Conseguenze delle proprie azioni/reazioni: L’orgoglio o la vita?

Dobbiamo aver chiare le conseguenze che derivano dalle nostre azioni o reazioni. Conseguenze che possono spesso contribuire a far evolvere in negativo un evento pericoloso e già di per sé quindi non troppo positivo. Qui generalmente mi scontro subito con allievi ed allieve dal carattere piuttosto “focoso” che agiscono più “di pancia” che “di testa” e che rappresentano generalmente anche la maggioranza.

Per chiarire il concetto faccio sempre l’esempio della bilancia dove da una parte dobbiamo mettere “cosa rischiamo di perdere” e dall’altra “cosa ci aspettiamo di ottenere”. Insegnando da oltre venti anni, di casi reali ne ho sentiti molti e vi assicuro che in queste situazioni il cervello rischia di non essere in grado di fare scelte intelligenti ma al contrario, predilige su diversi soggetti le scelte più autolesioniste.

Se sono piccolo/a, leggerino/a e un energumeno decisamente poco raccomandabile e sicuramente più cattivo e forte di me cerca di togliermi di mano la borsa o il telefono e intorno a me non c’è nessuno che possa aiutarmi (e se c’è non è detto che poi lo faccia), ingaggiare un tira e molla per cercare di salvare l’oggetto di proprietà spesso può rivelarsi la scelta più sbagliata.

Eh bah allora diamogliela sempre vinta a loro!“… I

l mio obiettivo come insegnante di difesa personale, non è quello di “sconfiggere il male” o far trionfare il bene ma è quello di dare una formazione tale che riduca al minimo il rischio di danno psicofisico nel soggetto coinvolto nell’evento. Vi assicuro che molte persone conosciute direttamente, sulla base di questo ragionamento, che da un punto di vista etico è sacrosanto (“la borsa è mia perché dovrei dartela“), si sono fatte molto male fisicamente e molto molto male psicologicamente.

Vasco Rossi in una sua canzone dice: “Corri e fottitene dell’orgoglio, ne ha rovinati più lui del petrolio“. Affermazione verissima in molti casi e sicuramente uno di questi è la difesa personale. Meglio difendere l’orgoglio o l’incolumità fisica? Meglio tornare a casa con un giramento di palle o passare tre giorni in ospedale per lesioni, percosse o, peggio ancora, rischiare di morire? La tua vita vale il prezzo di un IPhone? Se pensi razionalmente la risposta sai già qual è. Se reagisci “di pancia” come fanno in molti, ti rimando alla frase di Tyson al piano di sopra.

Quando in gioco c’è la tua vita o quella di un tuo caro, non esiste cosa diversa che abbia motivo di essere difesa. Poi, se vuoi fare l’eroe e tentare la fortuna, l’importante è che ti assumi in modo maturo e razionale le conseguenze, ma a livello statistico stai facendo una scelta folle ed è giusto che io te lo faccia presente. Questo è uno degli aspetti sui quali spesso mi trovo in contrasto con “colleghi” che invece insegnano ad essere un po’ i paladini della giustizia o dei supereroi. Per me, dare queste false certezze è fare il contrario esatto rispetto all’insegnare a proteggersi e non c’è peggior cosa che un insegnante di difesa personale possa fare. Chi insegna deve essere realista e sincero e deve calarsi nei panni di chi ha di fronte.

Creare una falsa sicurezza nelle persone per me è molto grave.

Cosa pesa di più?
2- La consapevolezza del rischio reale: È giusto aver paura?

Faccio un corso di difesa personale per togliermi la paura di girare da sola“. Un corso di difesa personale la paura te la deve far aumentare, non te la deve togliere. La paura è uno degli strumenti più importanti della difesa personale. Quando percepisci paura significa che il tuo corpo ti sta in qualche modo dando un segnale di allarme.  È giusto comprendere questa paura e soprattutto va ascoltata, non ignorata o addirittura combattuta. Se ho paura devo prendere delle precauzioni ad esempio: hai paura a passare da una strada perché in fondo ci vedi persone esagitate che non ti danno molta fiducia? allora passa da un’altra parte e se proprio non puoi, aumenta al massimo la soglia di attenzione; togli le mani di tasca, smetti di “spippolare” sul telefonino. Aguzza la vista, guardati attorno. Se hai il famoso spray al peperoncino, prendilo e tienilo in mano e cerca di orientarlo anche dal lato giusto magari!

A questo deve servire la paura. Perché mai dovrei fartela passare?

L’eccesso di sicurezza spesso è responsabile dell’evoluzione negativa di un evento pericoloso. Ovviamente la paura non è panico. Il panico è una paura non funzionale ed è estremamente controproducente. Si va nel panico quando ci si trova improvvisamente in una situazione non prevista ed estrema. Riprodurre in palestra alcune situazioni stressanti anche se con tutte le limitazioni e precauzioni del caso, è un primo strumento per evitare reazioni pericolose come appunto il panico o il freezing.

3- La consapevolezza del contatto fisico

Chi non ha mai praticato sport da contatto spesso nei corsi di difesa personale trova un primo scoglio nella paura o nel disagio del contatto fisico. Quando qualcuno che non conosciamo ci “mette le mani addosso” e non siamo abituati a questo, possiamo provare fastidio, imbarazzo o addirittura paura. Questo accade anche in palestra ed è un primo aspetto su cui lavorare per educare e imparare a conoscere le proprie reazioni non prevedibili in queste dimensioni nuove.

Immaginate due persone tranquille alla fermata dell’autobus. Una è un pugile professionista con alle spalle 300 match agonistici e diverse rotture di naso. Una invece è una persona pacifica che non ha mai avuto a che fare con il contatto fisico né per sport né altri tipi di esperienze. Passa una terza persona e dal niente sferra un pugno ad entrambi. Secondo te, la reazione psicologica delle due vittime sarà la medesima? Il pugile, non dico che sarà nella sua confort zone ma sicuramente avrà una reazione lucida perché il suo cervello in quella dimensione è abituato a lavorarci da sempre. La seconda persona, al di là del dolore fisico del colpo, avrà una reazione assolutamente diversa. Potrebbe avere un attacco di panico, potrebbe terrorizzarsi al punto di entrare in stato di freezing. Potrebbe addirittura avere reazioni folli e controproducenti ad esempio invece che scappare, ingaggiare una rissa che sarebbe probabilmente persa in partenza e che potrebbe peggiorare notevolmente la situazione. Sì, perché chi ti colpisce senza motivo per strada è sicuramente più folle e più violento di te.

Abituarsi al contatto fisico con esercizi propedeutici, graduali e alla portata di chiunque, è un primo importante passo da fare nel complesso mondo dell’autodifesa.

4- La consapevolezza della fase in cui ci troviamo

La difesa personale deve prevedere soluzioni e strumenti per gestire al meglio quattro scenari ben precisi. Il primo scenario è quello della “scintilla”. Un banale diverbio di quelli che capitano quotidianamente, può rappresentare un innesco di una situazione spiacevole e/o pericolosa. In questa fase, lo strumento più utile è il cervello. Imparare a capire quando “non è più il caso”, imparare a disinnescare alcuni meccanismi che stanno degenerando, cercare di riportare la situazione ad un confronto civile o quando non possibile ad un allontanamento anche se non sembra sono tecniche di difesa personale. LA PREVENZIONE è difesa personale!

Se non si è bravi nel comprendere e nel gestire questo primo scenario, ci troveremo poco dopo a doverne gestire uno nuovo che prevede un primo contatto fisico. Uno spintone, un pugno, un calcio ci portano a questa seconda fase. Simile alla prima per alcuni aspetti ma con tutti i problemi che derivano dal contatto fisico che ho affrontato nel paragrafo precedente. In questa fase, il cervello (inteso come risposta attitudinale) è sempre uno strumento che può contribuire a riportarci a casa senza o con pochi danni psicofisici ma rispetto alla prima situazione, qui dobbiamo anche sapersi proteggere fisicamente da questi colpi che possono arrivare.

Se la cosa degenera, da calci e spintoni a trovarsi in una nuova fase di lotta in piedi è un attimo. Una presa al giubbotto, al braccio, al collo, ai capelli, non è la stessa cosa di un pugno o uno spintone. Qui se non si è abili nel liberarsi, difficilmente riusciremo a fuggire.

In una fase come quella sopra, dove ci troviamo coinvolti in una lotta in piedi, è quasi scontato che dopo poco si finisca a terra. Vuoi perché è proprio l’aggressore che ci manda giù, vuoi perché si inciampa in qualcosa e si cade, ma questo esito è molto verosimile purtroppo. Questo probabilmente è lo scenario peggiore ed è quello che prevede un maggior ricorso alla tecnica. Peggiore è lo scenario e più complessa è la soluzione. I corsi di difesa personale che non prevedono la lotta al suolo sono infatti assolutamente incompleti.

Per ognuno di questi scenari servono strumenti diversi presi da discipline diverse e che devono essere sintetizzati in un metodo preciso. Nel secondo scenario, ad esempio, sono utili per proteggersi tecniche basilari di discipline di striking (Esempio Pugilato, Sandà, Thai). Nel terzo scenario, quello della lotta in piedi, sono utili tecniche per rompere le prese, presenti ad esempio nel Judo, nel Kung Fu ed ingenerale nelle discipline di grappling. Nel quarto scenario, che prevede una fase di lotta a terra sono molto utili le tecniche di uscita e di guardia del Brasilian Jiujitsu ad esempio.

Ecco perché la difesa personale non può essere insegnata all’interno di un corso mono disciplinare. Chi insegna non dovrebbe peccare di presunzione dicendo che la sua Arte Marziale è quella migliore per l’autodifesa ma dovrebbe rimboccarsi le maniche e studiare tutte quelle tecniche delle altre discipline a complemento delle lacune che la sua stessa arte ha per forza di cose.

LA FOLLIA DEI MAGHI DEL DISARMO

Sì ok ma se chi mi aggredisce ha un coltello?
Io per scelta non insegno nessun tipo di tecnica di disarmo perché le tecniche di disarmo nella realtà non solo non funzionano ma sono estremamente pericolose e controproducenti. Tutte quelle tecniche che vediamo nei video di questi che vi insegnano a togliere coltelli, pistole e AK47 di mano ai propri aggressori, sono folli. Spacciano tecniche militari ai civili, i quali se si convincono davvero di poterle fare, la volta che ci provano vanno al macello. Sì perché queste tecniche ha senso insegnarle appunto a militari, corpi speciali e addetti alla sicurezza in quanto dotati di adeguati strumenti: guanti in Kevlar, corpetti anti taglio o giubbotti antiproiettile, caschi con visiere. Per non parlare delle finalità. Un Poliziotto che interviene per arrestare un soggetto, non lo fa per autodifesa, lo fa per lavoro. Un civile non deve arrestare nessuno, deve pensare a non farsi male e provare a togliere di mano un coltello o una pistola a qualcuno NON È DIFESA PERSONALE.

Eh vabbè allora cosa dovrei fare?
Domanda giusta alla quale io rispondo in modo molto crudo ma estremamente realista.
Se qualcuno ha un coltello o, peggio, una pistola e il suo fine è ucciderti, probabilmente ti ucciderà.
Questa è la peggiore delle possibilità ma anche (per fortuna) la più rara. Ammesso che non siate persone particolarmente esposte a questo rischio, molto probabilmente chi vi dovesse puntare un’arma non vuole uccidervi ma vuole qualcosa in cambio. In questo caso si torna al paragrafo sopra del calcolo rischio/beneficio; Vuole la borsa? Vuole l’orologio? Vuole l’auto? Sono disposto a rischiare la vita per una di queste cose? A voi la scelta!

Nella realtà, senza strumenti di protezione adeguati, le tecniche di disarmo per dei normali civili NON FUNZIONERANNO! Con il compagno collaborativo invece funzioneranno e saranno anche molto esaltanti, ma quella non è la realtà. C’è pieno di video in rete dove questa cosa che sto dicendo è ampiamente dimostrata.

LA DIFESA PERSONALE È EGOISTA

Come già detto, un normale cittadino non dovrebbe mai cercare di sostituirsi alle forze dell’ordine. Cercare di intervenire in una rissa o comunque in una situazione pericolosa, va contro qualsiasi principio di autodifesa. Come ci spiegano spesso anche nei corsi di Primo Soccorso, prima di intervenire in aiuto a qualcuno dobbiamo valutare se ci sono pericoli per noi. Perché la nostra incolumità deve necessariamente essere messa al primo posto. Quando ci sono situazioni del genere e non si è addestrati, non si dovrebbe mai intervenire per calmare qualcuno o nel tentativo di sedare una rissa. Il nostro dovere civico si limita alla chiamata al 112. Per questo motivo ritengo che la difesa personale debba essere egoistica. Il senso è proprio quello di dare la priorità alla propria autoprotezione prima di pensare a quella degli altri. Ognuno deve aver chiaro quanto e cosa rischia coinvolgendosi in una situazione pericolosa che non lo riguarda direttamente. Se si decide di intervenire, bisogna essere certi delle proprie capacità altrimenti si rischia soltanto di farsi male e magari di peggiorare il risvolto della situazione. Proteggere sé stessi e poi i propri cari senza necessariamente andare oltre questo. Nessuno può darvi la colpa di non essere intervenuti in una rissa. Il vostro dovere finisce con la chiamata dei soccorsi, il resto non è dovuto.

Parlando di 112, una cosa che suggerisco sempre è quella di installare l’APP sul proprio Smartphone che si chiama “Where Are U” contrassegnata da un’icona con scritto “112”. Una volta registrata, potete usarla per chiamare i soccorsi e rispetto alla normale telefonata ha alcuni vantaggi. Il primo vantaggio è che invia automaticamente la vostra posizione mentre un’altra funzione utilissima è la chiamata silenziosa. Questa modalità vi permette di chiamare i soccorsi in situazioni dove non potete parlare (violenze domestiche, rapine, rapimenti ecc.). Cliccando su questo link potete visualizzare un video che spiega molto bene il funzionamento: Guarda il video

Where are U 112

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Concludendo, la difesa personale è un complesso percorso di conoscenza e preparazione. Ogni passo, anche piccolo, può aiutare a proteggere sé stessi e i propri cari. Iniziare è il gesto più importante: la consapevolezza e la pratica sono la chiave per affrontare il pericolo con lucidità e sicurezza.

Un viaggio di mille miglia comincia con un singolo passo” Lao Tsu.

Una battaglia evitata è una battaglia vinta” dal libro “L’arte della guerra” di Sun Tsu

Che questo articolo ti abbia convinto o non ti abbia convinto, il mio invito è sempre il medesimo, vieni a provare uno dei miei corsi a PRATO. Info difesapersonaleprato.it

Giacomo Lucarini

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