Le Arti Marziali | di Giacomo Lucarini
Una mia personale analisi sullo stato dell’essere delle Arti Marziali e la loro evoluzione nel contesto generale e nel contesto particolare del Kung Fu con riferimenti al mio metodo di insegnamento e al mio concetto di Arte Marziale aperta.
Ho deciso di scrivere questo articolo, nella speranza di poter chiarire l’opinione, assolutamente personale, che ho maturato dopo 16 anni di insegnamento e 35 anni di pratica nelle Arti Marziali. Durante questo periodo, non certo breve né superficiale, ho avuto modo di praticare svariate discipline e soprattutto di formarmi e confrontarmi con moltissimi Maestri in diversi tipi di percorsi.
Arti Marziali, Discipline del Benessere e Sport da contatto.
Il primo passaggio fondamentale per me, è quello di chiarire il concetto di Arte Marziale. Vediamone intanto alcune definizioni:
Wikipedia alla voce “Arte Marziale” scrive:
“Con arte marziale si intende un insieme di pratiche fisiche e mentali legate al combattimento “
Garzanti alla voce “Marziale” scrive:
” Che si riferisce alla guerra, al combattimento militare: tattica marziale | (lett.) che si riferisce a Marte, dio della guerra[…]”
Le Arti Marziali sono infatti le “Arti della Guerra”, che in cinese vengono definite con il termine “Wushu” (武术) dove appunto Wu(武) sta per Guerra/Combattimento e Shu(术) sta per Arte. Wushu è uno dei tanti sinonimi del termine più generico Kung fu.
Le Arti Marziali sono quindi dei metodi di allenamento fisico e mentale che hanno come scopo principale quello di aumentare il livello di autoprotezione dell’individuo e di predisporlo al combattimento corpo a corpo.
Ma facciamo un passo indietro.
Le Arti Marziali, fin dagli albori, si sono spesso fuse e mischiate con varie altre discipline di origine più filosofica e spirituale complementari all’allenamento funzionale al combattimento. Queste discipline avevano come obiettivo la salvaguardia della salute fisica e il rafforzamento dello spirito. Non erano quindi Arti Marziali, in quanto non davano alcun apporto tecnico al combattimento, ma venivano praticate come utile complemento per il miglioramento della persona. Sto parlando ovviamente di tutte quelle discipline che includono la respirazione, la meditazione statica e dinamica e la cura della salute attraverso le più svariate pratiche. Anche nelle antiche leggende che si raccontano sulle origini del Kung fu ad esempio, si parla di un fantomatico incontro tra i Monaci Guerrieri del Tempio Shaolin e un Monaco Zen (Bodhidharma o Daruma 達磨) nel quale si fusero per la prima volta le discipline Marziali a quelle del Benessere, apportando a quest’ultime notevoli miglioramenti. Anche se questa storia non trova conferme storiche precise, è indubbio che questo passaggio ci sia comunque stato e che abbia comunque rappresentato un grosso cambiamento nella pratica delle Arti Marziali.
Una disciplina del benessere può apportare indubbiamente un aspetto positivo in più all’Arte Marziale e alla formazione di un combattente ma non la può assolutamente sostituire. Una disciplina del Benessere praticata a sé stante, non è un’Arte Marziale e non forma l’individuo al combattimento nella maniera più assoluta.
Qual è quindi la principale discriminante tra questi due tipi di pratica?
Un’Arte Marziale, avendo come scopo principale quello del combattimento, per essere definita tale, deve prevedere indiscutibilmente il confronto fisico non collaborativo in qualche parte del suo programma.
Tutte le discipline che non prevedono il confronto fisico non collaborativo ma che comunque possono essere complementari all’Arte Marziale, è più corretto definirle discipline del benessere o di ispirazione filosofico/religiosa.
In base a questa premessa, è importante aver chiaro lo scopo per il quale si pratica una disciplina.
Lo scopo è migliorare l’autodifesa oltre che la salute psico-fisica?
Allora nella pratica, da qualche parte ci dovrà essere un confronto fisico non collaborativo, quindi si sta praticando un’Arte Marziale.
Lo scopo è solo migliorare la salute psicofisica?
Allora il confronto fisico non collaborativo può venire meno, ma in questo caso ci riferiamo verosimilmente ad una disciplina del benessere piuttosto che ad un’Arte Marziale.
Lo scopo è la ricerca e il mantenimento di una tradizione?
Ci sono moltissimi praticanti, che hanno come scopo principale la ricerca dell’autenticità. Queste persone, fanno della loro pratica un’esperienza mista che alterna l’allenamento fisico alla ricerca bibliografica e puramente accademica. Ricercano ad esempio le sequenze più tradizionali, i lignaggi più puri, i programmi tecnici più vicini possibile a quelli tramandati dai Maestri fondatori dei vari stili, ai quali si legano in modo più o meno diretto attraverso il numero di generazione (Es. “14a generazione dello stille xx del Maestro xy“) e che sbandierano come un prezioso pedigree. In questo caso, non solo il confronto non collaborativo viene in secondo piano o addirittura è assente, ma spesso si rifiutano volutamente anche le varie evoluzioni che alcune tecniche o sequenze di allenamento possano aver subito negli anni, esclusivamente perché la loro idea è quella di preservare l’originalità dell’Arte o dello stile e non quello funzionale ed applicativo. Questi studiosi, spesso molto esperti sulla materia, trascorrono molto tempo a parlare dell’Arte Marziale e a raccogliere informazioni che in qualche modo possano accreditarne l’appartenenza ad uno specifico ramo più simile possibile all’originario. La loro frangia più estrema è rappresentata dai “Keyboard Lions” mentre quella più moderata ed onesta, svolge un prezioso compito per la preservazione storica delle Arti antiche.
Derive sterili e false idee di efficacia
Se fosse chiaro il concetto che ho spiegato sopra, non ci si troverebbe a che fare con situazioni imbarazzanti nelle quali “cinture nere” o comunque esperti delle più svariate discipline, non sono in grado neppure di togliere il ciuccio di bocca a un lattante. Purtroppo il panorama delle Arti Marziali è pieno di sedicenti “combattenti” che trascorrono ore ad analizzare e a parlare delle tecniche nel tentativo di renderne l’esecuzione accademicamente “perfetta” ed impeccabile, ma che in realtà non hanno la minima idea di quanto questa sia più o meno efficace in un contesto reale; contesto per il quale, in realtà, originariamente la tecnica sarebbe nata. Non c’è assolutamente nulla di male nel praticare una disciplina senza confronto fisico non collaborativo, anzi! Esistono discipline molto belle che migliorano ed arricchiscono il praticante. Ognuno può e deve fare quello che più lo gratifica. L’errore nasce nel continuare a considerare queste discipline, funzionali alla difesa personale o al combattimento. In questi casi, spesso anche in buona fede, si creano delle false idee di competenza tecnica, efficaci solo sulla carta o comunque finché “si gioca” insieme in maniera collaborativa.
Ma allora le Forme o Kata?
In molte Arti Marziali si tramandavano e si tramandano sequenze di tecniche da eseguire con un certo ritmo e determinazione. La prima cosa da dire su queste sequenze è che “sono belle!” e praticarle dà effettivamente molta soddisfazione. La loro esecuzione è una forma di meditazione dinamica molto efficace che migliora decisamente il praticante a livello psicofisico. Praticare le forme, attiva tutto il corpo, lo mantiene elastico e forte. Eseguire costantemente questi esercizi migliora la coordinazione motoria, l’equilibrio e la postura statica e dinamica. Durante le forme si impara il giusto modo di gestire la respirazione, di concentrare l’intenzione e di emettere la forza (Fajin 發勁). Una forma, è un insieme di tecniche precise messe in correlazione l’una con l’altra in una sequenza che rappresenta anche una sorta di archivio da mantenere, memorizzare e tramandare ai posteri. Se conosco una forma, conosco ogni singola tecnica e posizione in essa contenuta. E’ come una cartella con al suo interno molti files.
Ma praticare solo le forme serve per prepararsi ad un confronto fisico reale?
No. Si possono collezionare moltissime forme, ma se le sequenze non vengono poi testate con avversari non collaborativi, si torna al discorso di prima. Questo per ribadire che io sono assolutamente contrario a chi afferma che “le forme sono inutili” perché non è vero, ma sono nello stesso tempo d’accordo con chi afferma “non si può imparare a difendersi solo con le forme”.
Sequenze prestabilite a coppia
In molte Arti Marziali, sono previsti esercizi tecnici da fare a coppia. Nel Kung Fu prendono il nome di Duilian, Duida, Boji, ecc, ma esistono in quasi tutte le discipline (Judo, Karate, Jiujitsu, Pugilato, lotta, solo per dirne alcune). In questo caso la funzionalità al combattimento c’è nella misura in cui a questi sparring venga sempre abbinato il confronto non collaborativo. Questi esercizi sono molto utili per imparare a gestire le distanze, aumentare i riflessi, condizionare gli arti e automatizzare delle sequenze tecniche precise. Lo stesso Maestro Chang Weishin, spesso afferma che “le forme sono per la salute. Se vuoi fare combattimento, devi allenare molto Duida”.
Sport da contatto
Negli sport da contatto, originati dalle Arti Marziali, la componente del confronto fisico non collaborativo non manca certamente. La cosa che però allontana queste discipline dall’Arte del Combattimento o della Difesa Personale, sono i regolamenti. Dal momento che si prepara una gara di un qualunque sport da contatto, venendo assegnato un punteggio, legato al verificarsi o meno di determinate circostanze, è inevitabile che lo scopo principale diventi fare punti e non farseli fare. Esattamente come accade nel gioco degli scacchi o in un qualunque altro gioco di ruolo. Questo modo diverso di interpretare la disciplina, finisce inevitabilmente per inquinarne gli scopi principali per cui è nata. Si prenda come esempio il Judo olimpico e lo si confronti con il Judo tradizionale o per fare un altro esempio, il BJJ basico da difesa personale (es. Scuola Gracie) con quello elaboratissimo e di strategia delle gare di alto livello dove spiccano tecniche inapplicabili in contesti reali (Berimboli ecc…). Mentre da un lato le gare sono un ottimo modo per testare il proprio livello di preparazione psicofisica, la sofisticazione legata ai regolamenti ne rappresenta una sorta di “castrazione”.
Sbaglia chi non è sincero
Esistono migliaia, per non dire milioni di Arti Marziali nel mondo. Ognuna di esse contiene al proprio interno, una percentuale di verità sul combattimento e la difesa personale e una percentuale di altre cose non direttamente funzionali ad esso. Bruce Lee, fu uno tra i primi ad affermare ( con il suo modo un po’ arrogante) che “buona parte delle Arti Marziali di allora erano cazzate“. In realtà, in quasi tutte le Arti Marziali esiste una componente funzionale alla difesa personale, ma molte di queste, nel tempo l’hanno completamente persa per dare spazio alle pratiche più legate alla salute. In tutto questo la differenza la fa esclusivamente l’insegnante per come imposta il suo metodo e per come “ci vende” la sua disciplina. Non c’è nulla di male nel praticare una disciplina che nel tempo ha perso completamente o parzialmente i propri requisiti Marziali, l’importante è essere chiari. Spacciare queste discipline per “micidiali armi di distruzione di massa” oltre ad essere scorretto è assolutamente pericoloso perché si creano false illusioni di efficacia.
Riassumendo a grandi linee possiamo dire che:
- Nelle Arti Marziali, l’aspetto principale è la difesa personale ma la pratica delle discipline complementari legate al benessere psicofisico ne migliora assolutamente il percorso.
- Nelle discipline del Benessere, l’aspetto principale è quello di preservare la salute psico-fisica e migliorare la persona, ma praticate a sé stanti, non forniscono alcun tipo di formazione al confronto fisico né alla difesa personale e chi lo afferma è folle.
- Negli Sport da combattimento lo scopo principale è quello di prepararsi per avere la meglio in un contesto regolamentato sia nei modi che nei tempi. Quest’ultimi forniscono strumenti di difesa personale che però sono spesso “inquinati” dalle strategie tecnico-pratiche legate appunto al contesto gara e al suo regolamento.
Rifiutare o accogliere l’evoluzione
Tutto nasce dalla lotta
A livello estremamente primordiale, la prima forma di combattimento corpo a corpo è sicuramente stata la lotta. Anche nelle leggende sulle origini delle Arti Marziali, si parla inizialmente di forme di lotta grezza. Molti studi affermano che le Arti Marziali avrebbero infatti avuto origine in Asia, inizialmente come lotta e successivamente come Kung Fu. La lotta è un elemento fondamentale quando si parla di confronto fisico. Ogni combattente dovrebbe avere familiarità con la lotta in piedi e a terra ancor prima di imparare a dare pugni e calci. Questo perché la lotta forma il carattere e abitua il corpo al confronto fisico appunto.
Quando lo scopo è quello di imparare a difendersi o ad avere la meglio in un confronto fisico non collaborativo e non regolamentato, l’aspetto che va cercato nell’Arte Marziale è quello legato all’efficacia funzionale. Ogni Arte Marziale ha qualcosa da offrire in tal senso, ma nessuna da sola è veramente completa nel dare risposte tecniche alle 3 fasi del confronto fisico (Striking, lotta in piedi e lotta a terra).
Con l’introduzione delle Arti Marziali Miste (MMA), sono stati fatti grandissimi passi avanti in tale senso e si è capito che prendere il meglio da più discipline forma atleti e combattenti migliori. Del resto, inizialmente quando si codificavano le prime forme di Arti Marziali, tutti prendevano spunto da altre discipline senza farsi problemi. Il Kung fu ad esempio, è un insieme di stili creati da altri stili copiati qua e là per ottenere il migliore risultato, in pieno stile cinese. In età più recente però, molti insegnanti hanno cominciato a diventare orgogliosi e gelosi della propria Arte Marziale al punto di ritenerla “la migliore” senza metterla più in discussione e soprattutto bloccandone la naturale evoluzione. Evoluzione che a mio parere porterà sempre ad una unica Arte Marziale, quella che funziona davvero. Quella che scarta e acquisisce tecniche in base allo scopo funzionale. I motivi di questa chiusura verso l’esterno di molte scuole, sono legati spesso al business, alla paura di perdere allievi, alla paura del confronto o semplicemente ad una ottusità mentale. Questo porta quasi sempre alla scuola setta. Quelle scuole dove l’insegnante è venerato e temuto e non può essere messo in dubbio. Quelle scuole dove spesso gli allievi sono succubi e soggiogati dal contesto al punto che si illudono di essere gli unici detentori della verità.
Rifiutare l’evoluzione significa fossilizzarsi ed ha senso solo quando il motivo per cui si pratica è esclusivamente di ricerca “archeologica” delle origini dell’Arte Marziale.
Negli ultimi 20 anni, da un punto di vista di allenamento funzionale al combattimento e alla preparazione atletica, sono stati fatti passi da gigante. Decidere di rimanere “Re nel proprio piccolo regno” continuando a proporre didattiche fossili, non è un pregio ma un fallimento garantito. Bisogna aggiornarsi, studiare, confrontarsi con altri e acquisire con umiltà se si vuole progredire e dare degli strumenti efficaci ai propri allievi altrimenti si ricade in quella distorsione cognitiva del famoso “Effetto Dunning-Kruger” per il quale, “meno so, più credo di sapere. Più so, più sento il bisogno di sapere”. Del resto, purtroppo come spesso accade, soprattutto in Italia, “chi non sa una cosa, finisce per insegnarla”. Alla base di questa distorsione, c’è la mancanza di umiltà e di intelligenza o l’interesse commerciale della paura di perdere allievi.
Quando si guarda all’efficacia, l’Arte Marziale deve essere una sola e deve contenerne al suo interno molte.
Molti Maestri dell’antichità, non avevano la cultura né la conoscenza sufficiente per spiegare il perché e il come alcune tecniche o alcuni metodi funzionassero. Quindi il “come” era più un “guardami e fallo come lo faccio io” mentre il “perché” spesso era una supercazzola “perché l’energia che fluisce nel…ecc ecc”. Di queste tecniche, quelle efficaci ancora oggi si possono spiegare chiaramente con la fisica, la fisiologia e la biomeccanica. Continuare a dare le spiegazioni dogmatiche legate all’antichità, lascia davvero il tempo che trova.
Allenamento “Mabu”
Quindi le MMA sono la massima rappresentazione delle Arti Marziali?
Ni. Le Mixed Martial Arts, sono un contesto sportivo agonistico di tipo professionale nel quale gli atleti si fronteggiano in combattimenti con tecniche estratte da almeno 4 diverse discipline differenti a seconda delle varie fasi (Striking e Grappling in piedi e a terra). L’Arte Marziale, deve dare degli strumenti che permettano comunque di essere sempre preparati ad un confronto fisico in contesti non sportivi, non previsti e inattesi e a prescindere dall’età; se non ad avere la meglio, quantomeno a riportare il minor danno psicofisico possibile. Certo, un atleta che pratica MMA a livello professionistico, non dovrebbe avere problemi a difendersi, ma non possiamo nemmeno pensare che per avere una base di difesa personale si debbano raggiungere e soprattutto mantenere livelli di eccellenza e ritmi del genere per tutta la vita nell’attesa che un giorno forse qualcuno ci aggredisca.
Il mio concetto di Kung fu
Ho cominciato ad insegnare Kung Fu nel 2004 .
Fin dalle prime lezioni ho incluso nel programma esercizi di lotta in piedi e di lotta a terra, sfruttando quel poco bagaglio tecnico che avevo dal Judo (che praticavo da ragazzino) e una buona componente di autodidattica. Lo scopo di questi esercizi di sparring che includevo nel programma, era quello di abituare i miei allievi al contatto fisico non collaborativo. Non tralasciando inoltre il fatto che la lotta rappresenta un allenamento cardio non indifferente. Nel Kung Fu sportivo (Sanda), esiste ed è prevista quella fase di lotta strettamente necessaria ad atterrare l’avversario (proiezioni), cosa che lo distingue, ad esempio, dalla Kick Boxe e dalla Thai. Non sono mai stato molto interessato alla parte strettamente sportiva del Kung Fu, intesa come combattimento in un contesto di gara regolamentato. Mi sono sempre posto come principale obiettivo quello dell’efficacia funzionale. E’ per questo che, in tal senso, sentivo la necessità di andare a colmare quel gap tecnico che inizia un secondo dopo che l’avversario viene portato a terra. Per questo ho cominciato nel 2010 ad interessarmi (e poi a praticare) discipline di lotta specifiche che cominciano esattamente dove il bagaglio tecnico del Kung Fu si interrompe (Grappling e Brazilian Jiujitsu) e ne sono quindi assolutamente complementari. Come ho scritto all’inizio dell’articolo, se l’Arte Marziale è nata per l’autoprotezione, sicuramente prevedeva tutte le fasi del combattimento. Per questo non credo che, in origine nel Kung Fu fosse presente quel gap tecnico che invece ritroviamo oggi (sicuramente frutto di una regolamentazione esclusivamente sportiva).
Per come la vedo io, l’Arte Marziale deve conferire strumenti di difesa personale e strumenti per il benessere psico-fisico e non posso concepire che all’interno di un corso di una disciplina nata per il combattimento, non si affrontino tematiche come quelle della difesa personale.
Nel 2010 ho iniziato ad insegnare difesa personale in ambito civile (non militare o paramilitare).
La difesa personale in ambito civile, ha come unico scopo quello della prevenzione dei rischi e della preservazione dell’integrità psico-fisica. In soldoni “se riesco evito, altrimenti cerco il modo di liberarmi per scappare e chiedere aiuto”.
Come ho fatto per il corso di Kung Fu, ho introdotto anche (e direi a maggior ragione) nel corso di autodifesa tecniche base (non prettamente sportive) di Grappling e BJJ.
Un mio allievo, deve avere una infarinatura a 360° su tutta la parte che riguarda il confronto fisico. Poi, in autonomia può chiaramente decidere di approfondire o meno alcuni aspetti specifici al di fuori del programma canonico.
Oggi, dopo tutti questi anni di pratica e dopo tutti questi anni di insegnamento, posso affermare con una certa convinzione, che l’atteggiamento di apertura è assolutamente positivo e producente.
Coloro che continuano a non mettersi in discussione e a non confrontarsi con nessuno al di fuori della propria “setta”, sono destinati a fossilizzarsi.